14 anni dall’Operazione Piombo Fuso

14 anni dall’Operazione Piombo Fuso

Esattamente quattordici anni fa, il cielo sovrastante la striscia di Gaza veniva squarciato dal frastuono dei bombardamenti sganciati dai F-16 israeliani.

L’Operazione Piombo Fuso inizió così, nella mezzanotte del 27 dicembre 2008, approfittando della scadenza della tregua di sei mesi stabilita, con l’ausilio della mediazione egiziana, il 19 giugno dello stesso anno.

La causa apparente, direbbe Tucidide, fu la volontà dei coloni di porre fine alla violenza di Hamas, il movimento di liberazione palestinese che nel precedente decennio di attività contava 15 vittime, cadute sotto i colpi dei rudimentali razzi Qassam.

La causa reale, tuttavia, è l’impeto brutale del colonialismo sionista che, in accordo con le grandi potenze d’Occidente, ogni giorno, riduce la popolazione palestinese a cavia da laboratorio, collaudando le opere dell’industria bellica sullɜ civili.

Forte dei legami commerciali con i grandi privati, lo Stato illegittimo di Israele, infatti, non dovette nemmeno preoccuparsi di celare il suo reale intento.

Le bombe distrussero le università, le scuole, le abitazioni. Nemmeno i depositi alimentari dell’ONU vennero risparmiati. Solo nella giornata del 27 dicembre, le vittime palestinesi ammontavano a 300.

Tratto dal film-documentario “Piombo Fuso” (Stefano Savona, 2009)

Si rivelò inutile l’intervento formale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, che tentarono futilmente di imporre l’immediato cessate il fuoco.

Israele, vantando anche l’appoggio del Canada e dell’Europa, proseguì imperterrito la sua carneficina, testando sulle vittime del moto sionista i nuovi armamenti prodotti in collaborazione con gli Stati Uniti.

Bombe al fosforo bianco sulla popolazione palestinese, 2008.

Come confermato, in seguito alla strage, dal Comitato di Ricerca sulle Nuove Armi (NRWC), che, approfondendo la correlazione tra armamenti bellici e le ripercussioni a medio termine sui residenti nei territorio travolti da conflitti, giunse alla conclusione che gli esplosivi israeliani contenessero elevate quantità di fosforo bianco ed un elemento metallico ad altamente cancerogeno, oltre a metalli deleteri per il sistema nervoso.

Mentre i coloni, rivendicando la loro Terra Promessa, invocavano l’espulsione forzata della popolazione locale, riecheggievano le grida dellɜ palestinesi intentɜ a schivare le bombe al fosforo ed i proiettili al tungsteno.

Negli anni, le conseguenze dell’impiego di ordigni contenenti metalli tossici comportarono il gravoso incremento del tasso di deformazioni e patologie nei neonati e di aborti spontanei.

Gli studi della Fondazione Al Damer confermarono la preminente concentrazione di patologie fetali e radioattività nelle zone circostanti Beit Hanoun, Beit Lahiya e Jabaliya, dove l’intervento israeliano si era accanito.

Dal Ministero palestinese della Sanità vennero diramate numerose documentazioni medico-statistiche, volte a testimoniare i disastri ambientali ed umanitari causati dalle sostanze tossiche adoperate da Israele, con oltre 1200 morti (di cui 410 bambini).

La sera del 17 gennaio 2009, dopo un mese di violenze quotidiane, il governo israeliano annunció il raggiungimento degli obiettivi prefissatisi con l’apertura delle ostilità, dichiarando conclusa l’operazione militare. Le divise d’Israele, tuttavia, non vennero mai ritirate e le incursioni tuttora proseguono imperterrite.

Le Nazioni Unite risposero alla violenza di Israele con il controverso Rapporto Goldstone, che promuove le retoriche di colpevolizzazione dellɜ oppressɜ che associano la rabbia della Palestina e la catena di crimini di guerra e di contro l’umanità portati avanti, impunemente, da Israele.

I reali responsabili, come spesso accade, rimasero impuniti, quando, nel febbraio del 2009, Israele ammise la brutalità chimica dell’operazione militare e affibió qualche debole provvedimento disciplinare nei confronti di alcuni ufficiali delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) eletti a capro espiatorio, tra cui il generale di brigata Eyal Eisenberg ed il colonnello Ilan Malka, accusati di sparato proiettili d’artiglieria al fosforo bianco su un complesso delle Nazioni Unite e condannati per abuso d’autorità tale da mettere a repentaglio la vita altrui.

Ilan Malka

Nonostante l’impegno dellɜ militanti antisionistɜ, Israele continua a trarre massicci profitti dal commercio dei sistemi militari testati sulla popolazione palestinese.

A seguito dell’Operazione Piombo Fuso, infatti, la presenza degli ufficiali dell’esercito nel business privato permise la più significativa espansione di compravendita bellica, con proventi pari a 6 miliardi di dollari.

Come riportato in Gaza e l’industria israeliana della violenza, più si intensifica la segregazione etnica dellɜ palestinesi, maggiore sono i profitti per Israele.

La particolare condizione della Striscia, in cui 1,8 milioni di palestinesi sono forzosamente rinchiusi in una area densamente popolata, offre un laboratorio unico per la sperimentazione delle dottrine e delle tecnologie della guerra asimmetrica in contesti urbani.

– Gaza e l’industria israeliana della violenza (Tradardi, Carminiati e Bartolomei)

Non è una coincidenza che, al termine di ogni aggressione sionista, si tengano fiere internazionali affinché le compagnie private e pubbliche presentino i prodotti testati sulla popolazione di Gaza ai possibili acquirenti, accattivati dagli armamenti testati in battaglia.

Ennesima dimostrazione che i teatri di guerra son tutto fuorché causali. La scenografia bellica non è il frutto di una barbaria intrinseca nell’essere umano, tantomeno l’esito inevitabile della Storia. Il conflitto viene accuratamente progettato e fabbricato su misura del cliente. La guerra e la ferocia sono il prodotto del capitale, con il permesso del sistema che ne legittima le crudeltà in virtù di rapporti di potere tendenziosi e disfunzionali.

Israele, quindi, può vantare il titolo di primo fornitore al mondo di aeromobili a pilotaggio remoto, esportando i droni testati sullɜ palestinesi in oltre 20 paesi, principalmente europei.

Solo nel decennio 2001-2011, stando allo Stockholm International Peace Research Institute, le compagnie israeliane hanno esportato il 41% dei droni nel mondo.

Tra i settori in cui si registra la maggiore erogazione di armamenti, la sicurezza privata, le intelligence e, ovviamente, le Forze dell’Ordine. Alle conferenze degli esercenti israeliani, non mancano ministri della difesa e degli interni, oltre ad esponenti della Forza Pubblica da tutto il mondo.

La pagina di presentazione della Israel HLS 2014, tenutasi a Tel Aviv tra il 9 ed il 12 novembre, afferma, senza alcun pudore, che:

«Israele ha sperimentato la minaccia del terrorismo per decenni ed è arrivata per necessità a eccellere nell’ambito della sicurezza nazionale. In effetti, nessun altro paese ha una percentuale più alta di ex componenti di esercito, polizia e forze di sicurezza, con esperienza pratica nella lotta al terrorismo».

In contrapposizione alla narrazione malata della borghesia colonialista, il Gaza Community Mental Health Programme testimonia l’impatto catastrofico dell’Operazione Piombo Fuso e la rabbia palestinese continuerà a riversarsi nella strade, proiettile dopo proiettile e razzo dopo razzo, finché lo Stato illegittimo fondato sul colonialismo fanatico del capitale continuerà imperterrito a violentare la terra di Gaza e lɜ suɜ abitanti.


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Pubblicato da Thomas Cavagna

Classe 2003. Diplomato al Liceo delle Scienze Umane e immatricolato alla Facoltà di Storia dell'Alma Mater di Bologna, appassionato di scienze umane e sociali, politica e attualità. Vena polemica stridente con il carattere mite, amante della lettura e assiduo ascoltatore del Barbero Podcast. Attivista nelle piazze e sulle piattaforme social.

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