Il Pride è del popolo: no alle divise

Il Pride è del popolo: no alle divise

Musica, colori e tanta rabbia politica hanno mobilitato oltre 30mila nelle strade di Bologna quando, sabato 25 giugno, si è tenuto il Rivolta Pride 2022.

Foto di Giuditta Pellegrini

Nei giorni che hanno preceduto l’evento, era scaturita una polemica sulla partecipazione dei membri delle Forze dell’Ordine al corteo, armati non degli usuali manganelli, ma dello striscione di Polis Aperta.

Il dibattito nasceva dalla volontà degli organizzatori dell’evento di bandire le FdO e le FFAA dai moti di protesta.

Ci è stato chiesto di non presentarci con i loghi e lo striscione dell’associazione, ma di partecipare in modo anonimo, quasi dovessimo nascondere chi siamo. Non è la prima volta che una tale discriminazione viene in atto: al pride di Bologna 2020 la stessa sorte toccò dall’Associazione Plus – Persone LGBT+ Sieropositive.

– Polis Aperta

Così recita il comunicato stampa pubblicato il 22 giugno da Polis Aperta, la prima associazione LGBT+ italiana che include i membri delle Forze dell’Ordine e delle Forze Armate nelle rivendicazioni per i diritti delle minoranze sessuali e relazionali.

Non si può che gioire che tra gli operatori in divisa si sia giunti ad una coscienza di oppressione tale da costituire un’associazione da contrapporre alla discriminazione sistemica subita dalle minoranze.

Tuttavia, non si può nemmeno ignorare che la repressione feroce delle lotte LGBT+ da parte delle istituzioni e la negazione dei valori che smuovono le nostre rivendicazioni consistono in dinamiche tanto storiche quanto attuali.

Solo pochi mesi fa, il Sindacato Autonomo di Polizia (Sap) inviava una lettera al Capo della Polizia, Lamberto Giannini, dichiarando che gli agenti non avrebbero indossato le mascherine FFP2 concesse dallo Stato perché di colore rosa e, dunque, ritenute indecorose per la divisa.

Il problema non nasce da un pregiudizio sul colore, ma dal fatto che l’uso dell’uniforme è regolamentato. Sulla base del giuramento fatto, è necessario anche gli indumenti vengano portati con decoro e rispetto per l’Istituzione a cui si appartiene. Riteniamo pertanto che gli indumenti e gli accessori utilizzati debbano essere consoni e coerenti con la divisa, così come è sconsigliato utilizzare mascherine vistose o con ornamenti eccessivi e che non portino simboli di richiamo all’Istituzione.

Lettera del Sap

Sarebbe il caso di far notare che, volendo ricorrere ad accessori che siano coerenti con la divisa, dovremmo fornire gli apparati di protezione civile di indumenti di colore rosso.

Rosso come il sangue del 16enne Davide Bifolco, ucciso a colpi di pistola dal carabiniere Gianni Macchiatolo.

Rosso, come il sangue di Giuseppe Uva, Marco Guerra, Federico Aldrovandi, Riccardo Magherini, Serena Mollicone, Aldo Bianzino, Kayes Bohli, Stefano Cabiddu, Cristian de Cupis, Abderrahman Salhi, Stefano Cucchi, Riccardo Rasman, Marcello Lonzi, Michele Ferrulli, Carmelo Castro, Simone La Penna, Manuel Eliantonio e tanti, tanti altri nomi annoverati tra coloro che hanno versato il sangue, che hanno perso la vita sotto i colpi dello Stato e della sua man forte: la malapolizia.

La narrativa ci racconta di una crescente avversione nei confronti delle Forze dell’Ordine, diventa necessario adottare sobrietà e rispetto per le divise indossate. Così argomentava il Sap. E aveva immancabilmente ragione.

Sebbene l’opinione generale rimanga benomale di buon auspicio per le FFOO, negli ambienti politicizzati, soprattutto giovanili, divampa una profonda sfiducia nei confronti delle Forze dell’Ordine. Chissà perchè.

La rilevanza delle funzioni svolte dalla Polizia di Stato – si legge nella lettera indirizzata al Ministero dell’Interno – impone all’amministrazione di preservare il decoro dei propri operatori, evitando che gli stessi siano comandati a svolgere attività istituzionale con dispositivi di protezione di un colore che risulta eccentrico rispetto all’uniforme e rischia di pregiudicare l’immagine dell’istituzione.

La seconda accezione del termine eccentrico, stando al dizionario Treccani, consiste in un comportamento bizzarro, stravagante, che si allontana dai modi comuni.

Il rifiuto categorico dell’eccentricità altro non è che il cieco conformismo a ciò viene valorizzato come comune.

Cosa è comune in Italia? L’omotransfobia, il razzismo, il classismo, l’abilismo, il sessismo. Si, anche l’abuso perpetrato da chi gode della protezione di un distintivo. Insomma, le cosiddette rilevanti funzioni svolte dalla Polizia di Stato.

Ricusiamo la presenza delle Forze dell’Ordine e delle Forze Armate perché è nostra intenzione costruire spazi sicuri per noi, non per gli oppressori. Tantomeno per i loro collaboratori.

Per quanto sia degna di nota, la fondazione di Polis Aperta non legittima né smentisce il contesto culturale machista e disfunzionalmente violento delle istituzioni, che, senza il benché minimo pudore, rimarcano la loro controversa posizione sulla questione della non conformità al genere culturale che la società impone.

In quanto detrattori delle discriminazioni, dobbiamo porci in un’ottica che sia analitica di ogni articolazione del sistema oppressivo, in modo tale da innalzare un grido comune che tenga conto delle diverse manifestazioni del patriarcato capitalista di cui le Forze dell’Ordine sono il principale strumento, come ricorda Tamari Kitossa, docente di Criminologia alla Brock University, nello studio condotto per conto di Radical Criminology.

Si può davvero pretendere che i distintivi vengano accolti calorosamente da chi ne subisce le ritorsioni e la violenza? Si può pretendere che i nostri tumulti politici degenerino nell’ipocrisia, abbracciando chi sgombera le vie a suon di manganellate e acqua gelata quando pullulano dei senzatetto ostracizzati dagli ambienti che anche a loro appartengono, in virtù del decoro tanto proclamato dalle istituzioni?

Indubbiamente, tra noi oppressi dovremmo ascoltarci, promuovere un dialogo sorretto dalla mutua volontà di comprensione e di risoluzione del conflitto. Ma sul capo delle Forze dell’Ordine grava la colpa del clima di repressione del dissenso che, da tempo immemore, ha impedito questa reciprocità di scambio e, soprattutto, ha gettato le basi per la profonda e dilagante sfiducia nei confronti di chi indossa la divisa.

In tal senso, l’attivista Sveva Basirah Balzini si è espressa con le seguenti parole:

Potenzialmente questa è la riattivazione gigante di tutte le frocyə che volevano starsene tranquillə stavolta, che avevano tirato un sospiro di sollievo, che si erano incazzatə un po’ di meno; per tutte quelle frocyə che hanno subito gaslighting, machismo, pestaggi, minacce, indifferenza e marginalizzazione dalle FdO, che ogni volta che si ribellano e lottano per ricostruire le proprie comunità devono trovarsi nei denti la retorica del “cambiare le cose dall’interno”.

Se il comunicato della Pride è stato quasi gentile, su internet molti gruppi, progetti e soggettività si sono espressə sulla unsafety delle FdO, sul bisogno di sentirsi al sicuro in un ambiente senza polizia (non importa se LGBT), senza alcun rappresentante dell’oppressione. Impossibile da ignorare…eppure.

Bazini sul suo profilo Instagram

Al danno si è aggiunta la beffa: Polis Aperta, nonostante il divieto di prendere parte al corteo, si è presentata all’evento indossando il proprio stendardo, con il supporto di partiti quali Più Europa e Radicali Italiani.

Insomma, le persone militanti nell’associazione si sono impegnate nel dimostrare la tesi sulla legittimità della loro esclusione. Si sono postə, infatti, con l’arroganza di invadere uno spazio che non gli spettava, adottando il medesimo comportamento degli oppressori quando vìolano le nostre realtà con la pretesa di prendere parte a moti che, però, vogliono contrastare la stessa oppressione che loro reiterano.

È sfoggio del proprio privilegio: poliziotti e carabinieri che, nonostante il rigoroso no dei cittadini, impongono la loro presenza. Se criticati, si rifanno alla retorica della discriminazione (al contrario, direbbe qualcuno), paragonando le oppressioni sistemiche al rifiuto di condividere momenti di lotta con le braccia degli oppressori.

Come scriveva Bazini, Polis Aperta non può essere l’anello di congiunzione tra le vittime delle istituzioni e le istituzioni stesse. Non può esistere alcuna forma di collaborazionismo con i persecutori, tantomeno se fieri nello sciorinare la loro appartenenza alla rete che ci domina, intrappolandoci nella ramificazioni soffocanti di un sistema velenoso e disfunzionale.

Non dimentichiamoci che la concreta liberazione LGBT+ passa anche per la lotta di classe, per l’abolizionismo del carcere e per l’abbattimento di uno Stato che ci opprime e comprime tra le sue pareti di cartongesso, nel tentativo di silenziarci e sottomettere le nostre battaglie alla logica del mercato capitalista.

Dunque, i membri delle Forze dell’Ordine e delle Forze Armate devono aver diritto a prendere parte attivamente agli eventi della comunità LGBT+? Assolutamente si, a maggior ragione se sono persone LGBT+. In quanto vittime di oppressione sistemica, devono aver diritto a battersi per i diritti che gli sono negati e devono aver diritto a riconoscersi nell’accesa comunità che anima le piazze e le strade delle città.

La problematicità sorge qualora la loro presenza si manifesti nell’appartenenza alle Forze dell’Ordine e delle Forze Armate. La riappropriazione degli spazi e delle rivendicazioni che ci spettano, non può tollerare il collaborazionismo passivo con le braccia delle Istituzioni che ci opprimono.

Indubbiamente, queste due realtà si incontrano nel singolo individuo, ma non possono coesistere in una lotta che sia sinceramente tale. In tal senso, esigere di marciare al nostro fianco come membri delle Forze dell’Ordine e Armate, significa sputare in faccia agli oppressi e rinnegare la realtà storica dello scontro dialettico tra popolo e istituzioni, deresponsabilizzando quest’ultime con la pretesa di costruire la fittizia eventualità di una coesistenza tra il funzionale benessere collettivo e le dimensioni che lo ostacolano rincorrendo la logica del profitto elitario.

Come ribadiva Emily Clancy, vicesindaca di Bologna, da anni il Pride è organizzato dal basso dalla comunità Lgbtqia+ e da sempre si chiede che sia una giornata senza simboli e bandiere di tutte le istituzioni e i corpi intermedi, compresi partiti e sindacati.

Ribadiamo, quindi, la nostra posizione: no alle Forze dell’Ordine ed alle Forze Armate ai Pride. Ma anche no alle istituzioni, in generale.


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Pubblicato da Thomas Cavagna

Classe 2003. Diplomato al Liceo delle Scienze Umane e immatricolato alla Facoltà di Storia dell'Alma Mater di Bologna, appassionato di scienze umane e sociali, politica e attualità. Vena polemica stridente con il carattere mite, amante della lettura e assiduo ascoltatore del Barbero Podcast. Attivista nelle piazze e sulle piattaforme social.

Una risposta a “Il Pride è del popolo: no alle divise”

  1. Avversione per le forze dell’ordine, considerare priorità l’istituzione del reato di istigazione alla discriminazione del sesso percepito, quando diverso dal biologico e da quello manifestato, far gareggiare atlete transessuali con donne, cacciare dalle Università professoresse lesbiche che osano affermare che la transessuale è biologicamente diversa da una donna. Considerare un affronto che le forze dell’ordine impongano una mascherina in sintonia con la divisa. E’ il pacifismo e l’amore che avanza inesorabilmente.

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