Exarcheia resiste!

Exarcheia resiste!

Nel centro della splendida capitale greca, il rione di Exarcheia (Εξαρκειά) sprigiona un’energica ribellione, palesandosi come cardine dell’attivismo ateniese e strenue terreno di battaglia tra istituzioni e volontà popolare.

Eretto tra il 1870 e il 1880 nell’allora area periferica della città, il quartiere trae il nome dal mercante Exarchos (‘Εξαρκος), fondatore del primo grande magazzino generale in Grecia.

Fin dai suoi albori, Exarcheia si è distinta per la salda coesione tra i membri della comunità e, in particolare, per il suo tumultuoso rapporto con il governo centrale. Negli anni ’60, gli attriti tra i nuclei estremisti di destra e sinistra fomentarono la guerra civile. Ad eccitare le masse non furono unicamente le divergenze ideologiche, ma anche la condizione pseudo-coloniale in cui versava il paese.

In seguito al termine della Seconda Guerra Mondiale, infatti, la Grecia venne costretta a sottostare al volere delle potenze occidentali. In particolare del Regno Unito, che, dopo l’intervento militare in favore del governo greco durante gli scontri interni, abbandonò il paese nelle mani degli Stati Uniti, interessati a sopprimere l’influenza socialista tramite l’azione in loco di John Maury, agente della CIA a sostegno della giunta militare che instaurò il suo regime con il colpo di Stato del ’67.

A sinistra, il viceopresidente degli Stati Uniti: Spiro Agnew . A destra, il dittatore greco: Georgios Papadopoulos. Agnew elogiava la giunta come “incarnazione del governo di Pericle dell’antica Atene“. Papadopoulos, durante il Watergate, venne accusato di finanziare illegalmente la campagna Nixon-Agnew.

Furono proprio l’instabilità nazionale dovuta all’inconciliabilità di basi politiche diametralmente opposte, il susseguirsi di governi privi di fiducia parlamentare, l’influenza estera, le turbolente proteste popolari e la mancata autorevolezza della famiglia reale di Grecia, guidata dal tanto giovane quanto inesperto Costantino II, a spalancare le porte al golpe, avente come unico scopo l’affossamento del moderato partito centrista che, con ogni probabilità, sarebbe prevalso nelle imminenti elezioni.

La pianificazione del sovvertimento strutturale del paese coincise, in realtà, con il protocollo d’azione ideato al fine di contrastare un’eventuale sollevazione comunista mediante la soppressione ai danni di oppositori politici e giornalisti.

Orchestrato da ufficiali militari e diretto da Georgios Spantidakis, comandante in capo dell’esercito greco, il colpo di stato comportò la destituzione del governo reggente in virtù dell’instaurazione della cosiddetta dittatura dei colonnelli. A differenza della pianificazione iniziale, che prevedeva la nomina dell’ultraconservatore monarchico Panagiotis Pipinelis come Primo Ministro.

Tra la lista dei complici, emerse il sovrano stesso che, messo al corrente del piano, acconsentì a collaborare con i golpisti a patto che questi attendessero il suo via libera per muovere i primi passi.

Nel frattempo, tra le frange più basse dell’esercito si svilupparono ulteriori nodi rivoltosi, capeggiati dal colonnello Geōrgios Papadopoulos. A violare l’accordo stipulato con Costantino II, furono proprio queste cellule minoritarie.

Non ci è dato conoscere i pensieri del popolano che, sfiancato dalle ostilità di cui erano intrise le strade, si coricò il 20 aprile del ’67, per risvegliarsi il mattino seguente in una dittatura militare.

Sappiamo, tuttavia, che il colpo di Stato venne riconosciuto formalmente per merito di una rinnovata collaborazione con il monarca. Il nuovo governo, tramite lo stravolgimento di un emendamento dell’atto costituzionale, abolì le elezioni e, di fatto, l’ordinamento giuridico stesso, grazie al contributo di giuristi fidati alla giunta militare.

L’obiettivo finale della rivoluzione d’Aprile del 1967 è fare un salto avanti verso il progresso; questo passo non potrà essere compiuto se non eliminando ogni tendenza verso il parlamentarismo.

– Georgios Papadopoulos

Il movente fornito per il colpo di Stato toccava un tasto dolente del periodo. Le retoriche dei golpisti, convinti di aver conseguito una valorosa Rivoluzione per il bene del paese, si basavano sul terrore che la Grecia corresse il rischio di cadere nelle mani di cospiratori comunisti, che, stando alle paranoie del tempo, non solo si erano insediati furtivamente nei luoghi di istruzione, nei centri di comunicazione e nella burocrazia statale, ma anche tra i reparti dell’esercito stesso.

È necessario sottolineare il carattere complottista e manipolatore della suddetta teoria, considerando che, già da ben prima della dittatura militare, era illegale perfino istituire un partito di stampo comunista.

Si rivela altrettanto essenziale mettere in luce la vicinanza teorica e comportamentale con il fascismo italiano. Stando allo storico e sociologo Meletis Meletopoulos, la Dittatura dei Colonnelli affondò le sue radici nel disorientamento della guerra civile, nel nazionalismo degenerato e nella militarizzazione delle cariche pubbliche.

Non a caso, il carismatico leader de factum del golpe, Geōrgios Papadoupoulos, affascinava i nostalgici delle camicie nere mussoliniane a tal punto che il neonato governo greco trovò nell’estrema destra made in italy un fedele alleato. Non solo nell’ambito extraparlamentare (vedasi il Centro Studi Ordine Nuovo o Avanguardia Nazionale) e parlamentare (ad esempio, il Movimento Sociale Italiano), ma anche nelle divisioni più buie dei Servizi Segreti italiani.

Perfino le università greche ammaliavano i sediziosi rampolli neofascisti, mentre negli atenei italiani approdavano i discendenti della borghesia ellenica.

Fascismo italiano e dittatura militare greca condivisero anche l’ideologia dell’aristocrazia dei combattenti, frutto delle riunioni a Sansepolcro. Oltre all’orientamento conservatore e all’ammirazione nei confronti di un passato mitizzato.

Il regime greco, infatti, innalzava le antiche polis e la figura di Alessandro Magno a veri e propri ideali, ricalcando il culto di Roma, del ruralismo, del paternalismo propri della demagogia fascista.

Come avvenuto nelle dinamiche caratterizzanti il novecento italiano, dinanzi all’oppressione di un rigido regime, non poté che contrapporsi una strenua Resistenza organizzata. I soffocanti mesi di sottomissione popolare e arresti di massa ad opera della polizia politica, maturarono nei giovani l’ira che, il 13 agosto del 1968, sfociò nell’attentato alla vita del dittatore Paradopoulou da parte dei militanti dell’Unione di Centro, sotto la guida del poeta e rivoluzionario Alexandros Panagulis.

Loro che hanno disertato

chiamano me disertore

Loro che hanno tradito

dicono a me traditore

Loro su cui il Popolo sputerà domani

sputano su di me

Mi chiamano puttana

incapaci di vedere

la forza interiore e la verità

nelle ingiurie e nell’ira di me incatenato

Mi chiamano puttana

e la frusta

lascia segni sul mio corpo

ferite nuove

ferite che si spalancano incredule.

– Scene-Memorie, Alexandros Pangulis

Il tentativo fallì e lo stesso Panagulis, insieme ai suoi compagni, venne arrestato. La giunta militare a capo del regime, tentando disperatamente di assoggettare il paese al suo controllo, interferí con il sindacalismo lavorativo e studentesco proibendo le elezioni universitarie per favorire i propri pupilli e imponendo la coscrizione degli iscritti.

Il 22enne Kostas Georgakis, attivista e studente greco a Genova, si immolò in Piazza Matteotti nel 1970, in protesta per il regime nel suo paese nativo.

La prima manifestazione di massa in opposizione alla dittatura risale al 21 febbraio 1973, quando gli studenti di Giurisprudenza si barricarono all’interno dei reparti della facoltà dell’Università di Atene, nel centro della capitale, pretendendo l’abrogazione della legge che aveva imposto l’arruolamento forzato di 88 studenti considerati giovani sovversivi.

Probabilmente, questo gesto dimostrativo trovò la sua musa nei moti parigini del 1868, pur rispecchiando i tumulti studenteschi dell’Europa (Francia ed Italia in particolare) del secolo successivo.

1968, Italia

La polizia greca intervenne brutalmente per porre fine alla manifestazione e, tra minacce e torture, gettò le basi di rabbia e rivendicazione che condusse alla rivolta del Politecnico di Exarcheia. Nella gioventù, infatti, andava diffondendosi un profondo sentimento anarchico ed una radicata ostilità nei confronti delle autorità.

Il 14 novembre del 1973, i collettivi giovanili insorsero contro la dittatura fascista dei colonnelli, occupando la sede accademica al grido di “Liberi assediati” (Ελεύθεροι Πολιορκημένοι), in riferimento al poema sull’assedio ottomano di Missolungi di Dionysios Solomos, poeta greco ottocentesco.

A rinnegare la legittimità dell’assemblea che diresse l’autogestione dell’ateneo, anche i due principali partiti studenteschi: A-AFEE e Rigas. All’interno dello stesso movimento di protesta, gli studenti erano divisi. Una frangia chiedeva l’abolizione del capitalismo, ma il gruppo maggioritario premeva per il ripristino della democrazia.

Per gestire la rivolta, venne istituita la Commissione di Coordinamento dell’Occupazione, ma perse presto il controllo sull’insurrezione e i muri della sede si riempirono di slogan e graffiti, perlopiù di stampo anti-Nato e anti-americani, paragonando la giunta greca alla Germania Nazista.

“Pane, educazione e libertà!”

Tramite un trasmettitore radiofonico, Maria Damanaki, studentessa e membro dell’A-EFEE, rese popolare questo slogan durante le proteste del 15 febbraio.

Il secondo giorno di occupazione (detto di celebrazione), migliaia di ateniesi si radunarono dinanzi al Politecnico in supporto agli studenti, accompagnati dagli operai edili (a loro volta coordinati da un comitato di protesta) e dai contadini di Megara, coinvolti nelle manifestazioni che infestavano le strade di Atene.

Atene, 1973

Nel pomeriggio del terzo giorno, i vicini Ministeri governativi furono oggetto di intense contestazioni, che il regime tentò di soffocare con l’ausilio degli armamenti e del supporto militare statunitense. In risposta, i protestanti scagliarono bottiglie molotov e appiccarono incendi in tutta la città.

Nei pressi dell’Università, vennero disposti cecchini militari, provocando più di un centinaio di feriti e 24 vittime, tra cui il 19enne Michael Mirogiannis, colpito a morte dall’ufficiale Nikolaos Dertilis, almeno due studenti del Liceo Leonin: Diomedes Komnenos e Alexandros Spartidis, oltre ad un bambino di cinque anni, colpito dal fuoco incrociato nel sobborgo di Zografou.

Il tasso dei morti, caduti sotto i colpi delle autorità repressive, ammonta ad oltre 40.

Intanto, nelle vie della capitale, risuonavano le trasmissioni degli studenti barricati nella sede accademica, diffuse mediante una radio improvvisata con gli attrezzi del laboratorio. Tra i principali oratori, la giovane Maria Damanaki, ora ex parlamentare per il Movimento Socialista Panellenico.

«Politecnico qui! Politecnico qui! Popolo di Grecia, il Polytechneion è il portabandiera della nostra lotta e della vostra lotta, la nostra lotta comune contro la dittatura e per la democrazia.»

– Motto dei rivoltosi

Alle 3 di notte del quarto e ultimo giorno di proteste, 17 novembre 1973, un carro armato AMX 30 dell’esercito, ora conservato nel museo di unità corazzate in un campo militare ad Avlona, sfondó i cancelli del Politecnico mentre la città, costretta al blackout dal regime, era illuminata solo dalle luci del campus universitario, alimentato dai generatori.

Fotogramma del filmato clandestino

Diverse le testimonianze dei presenti, supportate anche da prove documentali. Fra queste, il filmato clandestino di un giornalista olandese, che riprese la scena della panziera nell’atto di sovrastare la cancellata in acciaio, noncurante delle persone che vi erano aggrappate.

In alcune registrazioni delle trasmissioni studentesche, un giovane chiede disperatamente ai soldati (fratelli d’armi) che circondano il complesso edilizio di disobbedire agli ordini militari, di non aggredire i fratelli che protestano. Prosegue recitando il testo dell’inno nazionale greco, interrotto solamente dal corazzato che penetra nel cortile, obbligando la fine della trasmissione.

In seguito alla caduta del regime, la giunta militare dei colonnelli dittatori dovette far fronte alle accuse della Corte del Pubblico Ministero. Tra gli imputati, Dimitrios Ioannides, generale di brigata a capo dei militari della dittatura, condannato per aver incitato alla violenza i comandanti delle unità delle forze di sicurezza durante la rivolta del Politecnico di Atene.

Dimitrios Ioannides, soprannominato Il Dittatore Invisibile

Con il ripristino della democrazia parlamentare nel 1974, data la rilevanza del Politecnico nell’insurrezione popolare greca, il quartiere di Exarcheia divenne una attraente meta per movimenti di sinistra, collettivi anarchici, intellettuali, immigrati irregolari.

Addirittura, nel quartiere sorsero i November 17, nucleo di attivismo violento così chiamato in ricordo della strage di civili, lavoratori e studenti del 1973.

Il rione ateniese si trasformò ben presto un sistema anarchico, incentrato sulla volontà del popolo e slegato dal governo centrale del paese per garantire l’autogestione popolare, coordinata dai centri sociali e dai numerosi gruppi politici che risiedono nei confini del quartiere.

Il divario tra le istituzioni e gli abitanti di Exarcheia si accentua ad ogni assedio della polizia. Non è raro, infatti, che la Grecia invii milizie e poliziotti nel tentativo di restaurare la propria dominanza sulla zona.

In particolare, durante le vigorose commemorazioni delle vittime del 1973. Nel novembre del 1985, il 15enne Michalis Kaltezas perse la vita mentre manifestava per i martiri del Politecnico, colpito dalle armi da fuoco delle Forze dell’Ordine. L’Università venne nuovamente occupata dai collettivi giovanili, in denuncia della brutalità della polizia.

Il caso più eclatante, tuttavia, risale al 2008, quando Alexandros Grigoropoulos, anche lui 15enne, subì la stessa sorte. La notizia del suo omicidio agì da detonatore per proteste implacabili e di lunga durata.

Dedica al defunto Alexandros Grigoropoulos

Il governo greco, su imposizione del Fondo Monetario Internazionale, venne costretto a seguire le direttive repressive dell’Unione Europea, imponendo alla popolazione alcune misure restrittive per fronteggiare la crisi economica. Misure, ovviamente, volte ad impoverire i più disagiati aggravando il divario di classe.

La reazione di Exarcheia fu talmente intensa che, il 5 maggio 2010, le forze di polizia cercarono di far terra bruciata del rione, promuovendo una vera e propria caccia all’anarchico.

Grecia, 5 maggio 2010

.«… fanno perquisizioni e purghe, e le poche prove che avevamo in internet sono state fatte sparire da misteriosi hackers. L’impressione è che gli interessi che sono venuti a collidere in Grecia siano un qualcosa che sovrasta di gran lunga il nostro allegro quartiere anarchico e essendo gli unici che tentano di denunciare i giochi sporchi che si stanno effettuando sopra la pelle dei greci qualcuno ha deciso che il fine giustifica i mezzi e la resistenza in Exarchia deve essere rotta insieme a teste, nasi, denti, braccia, gambe, ginocchia e polmoni dei suo abitanti. La Grecia è solo l’inizio, se lasciate permettere quello che sta avvenendo qui senza protestare, il prossimo quartiere a finire sotto assedio potrebbe essere il vostro.»

– Testimonianza di un italiano residente ad Exarcheia (31 maggio 2010)

Attualmente, l’occhio del ciclone rivoltoso è tutt’ora in moto. I cittadini di Exarcheia rivendicano con rabbia il loro diritto all’autogestione e all’autodeterminazione attraverso la street art, le manifestazioni e l’accoglienza indiscriminata degli immigrati bisognosi, in rappresentazione dello sdegno della burocrazia di uno Stato borghese e in supporto a coloro che giungono sul territorio ellenico dovendo sfuggire alla violenza dei centri di detenzione in Grecia.

Cafè, piccole case editrici, librerie, artigianato, drogherie, bazar, seminari, concerti di artisti e spettacoli di intellettuali del quartiere. E tanta, tanta azione politica. Exarcheia si presenta come una democrazia nel significato proprio del termine: potere al popolo, o popolo che pretende il suo potere.


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Pubblicato da Thomas Cavagna

Classe 2003. Diplomato al Liceo delle Scienze Umane e immatricolato alla Facoltà di Storia dell'Alma Mater di Bologna, appassionato di scienze umane e sociali, politica e attualità. Vena polemica stridente con il carattere mite, amante della lettura e assiduo ascoltatore del Barbero Podcast. Attivista nelle piazze e sulle piattaforme social.

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