COP27 e Coca Cola: attenti a quei due

COP27 e Coca Cola: attenti a quei due

Arriva proprio in questi giorni la notizia: la COP27 sarà sponsorizzata dalla famosa multinazionale Coca-Cola.

Tutto reso noto dalla stessa organizzazione dell’evento, che mostra con certa fierezza come la più grande conferenza sui cambiamenti climatici a livello mondiale si sia inginocchiata al capitalismo più sfrenato.

Dai dati possiamo accertare che l’azienda Coca-Cola sia la maggiore produttrice di plastica usa e getta al mondo e, ad aggravare la situazione, possiamo volgere lo sguardo alle tonnellate di acqua rubata alle falde per la produzione della bevanda stessa, che ridicolizza l’allerta siccità di questi ultimi mesi, favorendo la produzione sfrenata e non curandosi dei problemi reali e tangibili dei giorni presenti.

Ma ormai lo abbiamo capito, il lucro è l’unico interesse utile di questa società capitalista.

Parliamo nuovamente di dati: Coca-Cola produce in media 120 miliardi di bottiglie di plastica usa e getta all’anno e per il 99% è prodotta da combustibili fossili.

Quindi sorge spontanea una domanda: come non sentirsi presi in giro da tale partnership? Mina letteralmente ogni buona volontà, rende la conferenza poco credibile mostrando come la stessa sia un becero modo di nascondere l’indifferenza verso un mondo al declino.

La transizione ecologica che molto si osanna sembra più una mossa di cattivo gusto, assimilabile senza ombra di dubbio al greenwashing, termine che indica la strategia di comunicazione o di marketing perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto negativo.

Continuando a guardare le fonti, secondo il rapporto del 2021 a cura di Break Free From Plastic, la Coca-Cola Company ha confermato il suo podio – guardando dall’alto con probabile fierezza le altre grandi multinazionali – come peggior inquinatore di plastica aziendale al mondo con 3 milioni di tonnellate di imballaggi di plastica.

Un delegato della COP26 aveva già chiesto a gran voce di eliminare dalla conferenza le partecipazioni di tali aziende aprendo una petizione arrivata a 12mila firme; ma come è comune nell’immaginario, la forza contrastante di un alto numero di persone non ha fatto cambiare il modus operandi dell’organizzazione nella presa degli accordi con le multinazionali elette come partner ufficiali.

La questione lascia una larga fetta della popolazione sensibile al cambiamento climatico e all’irreversibilità del declino senza una seconda possibilità.

Agire è necessario e, per farlo, bisogna abbandonare i vecchi ideali del denaro sporco, ponendolo al centro di un dibattito politico.

Come ci sta dimostrando questa notizia, il cambiamento proviene dal basso. Le istituzioni non intendono impegnarsi in una alternativa ecologica e questa partnership ne è la prova tangibile, aggiunta alla scelta della location: Sharm El Sheikh, in Egitto – nonché zona altamente interessata da giacimenti di combustibile fossile per mano dell’Eni.

Notiamo dunque diversi punti di perplessità che donano uno stampo comico a un argomento così serio e fondamentale.

Sarà possibile in futuro che questa cooperazione tra nazioni per risolvere la crisi climatica possa portare frutti concreti?

A questa domanda non c’è una risposta precisa, ma si spera in una presa di coscienza da parte delle autorità, concentrate sulla commercializzazione del “green” mentre ridono in faccia alle popolazioni che convivono da anni con depauperamento ed estremizzazione di fenomeni atmosferici.

Il cambiamento climatico non è un gioco di pochi ricchi, per questo l’azione non si ridurrà alle grandi sale allestite ad arte.

Un grido dirompente prenderà la scena, come accaduto l’anno scorso. Perché questo duo è una farsa. Una dimostrazione di quanto il problema sia ridicolizzato.

L’azienda esorta con queste commoventi dichiarazioni ad “esplorare le opportunità per costruire la resilienza climatica in tutta la sua attività, catena di approvvigionamento e comunità, impegnandosi con altri attori del settore privato, ong e i governi per sostenere l’azione collettiva contro il cambiamento climatico”.

Possiamo arrivare alla conclusione che il desiderio di una azione collettiva non possa racchiudersi in un accordo tragicomico che toglie ogni credibilità all’avvenimento stesso, ma che si debba agire collettivamente contro questa facciata falsamente ecosolidale, smontando il sistema che la permette e svolgendo qualcosa di concreto, che non si fermi alla superficialità appresa in questa notizia.


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